L’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del c.d. coronavirus si accompagna ad una parallela crisi dei rapporti commerciali internazionali ed internazionali.

In questi giorni in cui lo Stato Italiano sta adottando misure restrittive delle libertà di ciascun cittadino e in cui i mercati finanziari risentono delle notizie relative a quella che l’OMS ha definito una pandemia, le aziende italiane si trovano ad affrontare una sfida complicatissima che in molti casi è quella della sopravvivenza stessa.

Per la prima volta nella sua storia è stato sospeso l’accordo di Schengen che prevede la libera circolazione di persone tra gli Stati firmatari.

In un panorama simile, sono numerose le imprese che si trovano a dover gestire situazioni di cancellazioni di ordini, disdette, impossibilità a produrre o a consegnare la merce ed in genere non riescono ad adempiere alle obbligazioni assunte ed invocano la tutela dell’ordinamento.

In questi giorni in cui tutto il territorio dello Stato è considerato zona rossa sono molti gli imprenditori che si trovano a gestire difficili situazioni dove la forte riduzione dei ricavi, che in alcuni casi è un vero e proprio azzeramento, come nel settore alberghiero, non consente di far fronte ai costi fissi dell’azienda.

Quali sono quindi gli strumenti giuridici che possono costituire adeguata tutela per le nostre imprese?

  • La forza maggiore nell’ambito dei contratti internazionali –

In generale il concetto giuridico di forza maggiore fa riferimento ad eventi incontrollabili, imprevisti ed imprevedibili al momento della sottoscrizione del contratto tali da rendere impossibile l’adempimento della prestazione. In genere, sono considerati eventi di questo tipo gli scioperi, le calamità naturali, le epidemie, gli atti terroristici e di guerra.

Nella contrattualistica internazionale è ormai prassi consolidata quella di prevedere all’interno degli accordi una clausola di c.d. “Forza Maggiore” con cui vengono disciplinate le ipotesi in cui, al verificarsi di uno di tali eventi imprevedibili, la parte che non è più in grado di adempiere alla propria obbligazione non è considerata responsabile. Occorre quindi in primo luogo verificare se esiste una clausola di questo tipo all’interno del contratto.

Talvolta i contratti internazionali rinviano, per quanto non espressamente previsto, alla disciplina della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci (CISG), dove, tra le altre norme, viene disciplinata al comma 1 dell’art. 79 un’ipotesi di esonero di responsabilità della parte inadempiente qualora questa sia in grado di provare che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze.

Sostanzialmente la CIGS definisce la forza maggiore come un impedimento non controllabile dalla parte, non ragionevolmente prevedibile al momento della sottoscrizione del contratto, inevitabile e non superabile.

Nei casi in cui i contratti internazionali non prevedano espressamente una clausola di disciplina della forza maggiore, né un rinvio alla Convenzione di Vienna, si dovrà verificare se la forza maggiore appunto è prevista dalla legge nazionale applicabile al contratto – individuata sulla base di una scelta espressa dalle parti o sulla base delle norme di diritto internazionale privato.

Al riguardo vale la pena ricordare che il concetto di forza maggiore è disciplinato in numerosi ordinamenti. Ci si limita qui ad esporre quanto previsto da quello cinese visto che sono numerose le imprese della Repubblica Popolare che stanno invocando le clausole di forza maggiore a giustificazione del loro inadempimenti contrattuali conseguenti alla diffusione del coronavirus.

L’art. 117 della legge sui contratti della Repubblica Popolare Cinese definisce, al comma secondo, la forza maggiore come circostanza oggettiva imprevedibile, inevitabile ed insuperabile. Il Governo cinese per mezzo di certificati emessi dall’ente denominato “China Council for the Promotion of International Trade”, ha attestato l’esistenza di una condizione di forza maggiore per oltre 3000 aziende a causa del corona virus. Rimane comunque da verificare, caso per caso, l’efficacia e validità di tali certificati in ambito internazionale.

  • La forza maggiore nei contratti interni –

L’ordinamento italiano disciplina la forza maggiore all’art. 1467 cc.

La norma può essere invocata in ambito internazionale quando la legge applicabile al contratto sia quella italiana, ma anche nei rapporti obbligatori tra contraenti italiani.

L’art. 1467 cc prevede due soluzioni alternative all’eventualità in cui nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili.

Da un lato è facoltà della parte che deve tale prestazione richiedere la risoluzione del contratto.

Dall’altro lato, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Per comprendere se nel caso concreto di un inadempimento contrattuale sia invocabile o meno la tutela di cui all’art. 1467 cc in conseguenza della diffusione della pandemia del coronavirus è necessario verificare i presupposti della straordinarietà e dell’imprevedibilità dell’evento.

Mentre il concetto di straordinarietà ha carattere oggettivo poiché risulta quantificabile in base all’intensità dell’evento, quello di imprevedibilità ha natura soggettiva poiché attiene alla possibilità che il debitore aveva di conoscere il fatto. L’esistenza del presupposto soggettivo deve essere valutata sulla base alla diligenza media di una persona nella stessa situazione.

Posto che a parere di chi scrive l’evento coronavirus può certamente integrare il requisito oggettivo di cui all’art. 1467, qualche dubbio potrebbe sorgere in merito all’esistenza del requisito soggettivo che deve essere valutato caso per caso, tenendo conto anche delle modalità con cui l’evento ha inciso sull’inadempimento e considerando altresì il comportamento della parte inadempiente una volta verificatosi l’evento stesso.

Risulta fondamentale infatti valutare se la parte inadempiente ha tempestivamente informato la controparte, e se abbia adottato misure idonee ad arginare l’evento che ha causato l’inadempimento.

In conclusione, almeno in via teorica il coronavirus può essere considerato una circostanza di forza maggiore che consente per la parte inadempiente di richiedere la risoluzione del contratto. Nella pratica, si dovrà valutare caso per caso.

 L’impossibilità sopravvenuta delle prestazioni –

Nei contratti internazionali poi, vengono normalmente inserite le c.d. “Hardship clauses” con cui si prevede la possibilità tra le parti del contratto di rinegoziare i termini di un’obbligazione nelle ipotesi di sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione che causi un ingiustificato squilibrio.

Questa tipologia di clausole è molto diffusa nella prassi internazionale ma trova in qualche modo riscontro anche nell’ordinamento italiano all’art. 1256 del codice civile laddove è previsto che qualora la prestazione diventi impossibile per causa non imputabile al debitore l’obbligazione si estingue. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.

Lo squilibrio delle prestazioni, afferma la norma, deve dipendere da un evento straordinario (cioè un evento che statisticamente è poco frequente, con carattere di eccezionalità) e imprevedibile (deve essere cioè tale che i contraenti non lo avessero messo in conto, in base alle loro conoscenze ed esperienze).

A parere di chi scrive la diffusione di un’epidemia costituisce certamente evento statisticamente poco frequente ed eccezionale e che, quanto meno nei contratti stipulati fino alla diffusione delle informazioni sul virus, i contraenti non avevano messo in conto in base alle loro conoscenze.

Conseguentemente qualora una prestazione sia divenuta impossibile in conseguenza dell’evento coronavirus si potrà certamente valutare se nel caso specifico può essere invocata la tutela di cui all’art. 1256 cc.

  • Le misure di cui al D.L. n. 18 del 2020 –

Il c.d. “Decreto cura Italia” ha previsto, oltre alle misure per il potenziamento del sistema sanitario, anche una serie di iniziative per il sostegno economico alle imprese, famiglie e lavoratori.

Tra le misure a tutela delle piccole e medie imprese previste dal decreto vi sono anche norme che consentono la sospensione dell’adempimento di alcune obbligazioni pecuniarie.

In particolare, il comma 2 dell’art. 56 del DL. 18/20 prevede:

Al fine di sostenere le attività imprenditoriali danneggiate dall’epidemia di COVID-19 le Imprese, come

definite al comma 5, possono avvalersi dietro comunicazione – in relazione alle esposizioni debitorie nei

confronti di banche, di intermediari finanziari previsti dall’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993

(Testo unico bancario) e degli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in Italia – delle seguenti

misure di sostegno finanziario:

a) per le aperture di credito a revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla

data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, a quella di pubblicazione del presente decreto, gli importi

accordati, sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata, non possono essere revocati in

tutto o in parte fino al 30 settembre 2020;

b) per i prestiti non rateali con scadenza contrattuale prima del 30 settembre 2020 i contratti sono

prorogati, unitamente ai rispettivi elementi accessori e senza alcuna formalità, fino al 30 settembre

2020 alle medesime condizioni;

c) per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali

agrarie, il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 è

sospeso sino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione

è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che

assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti; è facoltà delle imprese richiedere

di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale.

Merita una particolare menzione il contenuto di quanto previsto al comma 3 del medesimo articolo, in base al quale, al fine dell’ottenimento a) della  proroga dei prestiti su anticipi o delle aperture di credito a revoca, b) della proroga della scadenza di rimborso dei prestiti non rateali, c) della sospensione del pagamento delle rate di mutuo o di leasing, è sufficiente che l’impresa predisponga una comunicazione al soggetto che ha erogato il finanziamento o alla società di leasing, con cui autocertifichi di aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19.

Si tratta certamente di una misura di particolare rilievo in un periodo in cui i flussi finanziari di molte aziende risultano essere state drasticamente ridotti o addirittura interrotti.